Ai cittadini che abitano tra il Trigno ed il Biferno, e tra le Mainarde, il Matese ed il Mar Adriatico, poco interessa se le istituzioni pubbliche della Repubblica Italiana si organizzano per regioni, province, comuni, macro-regioni o se le diverse funzioni amministrative vengono esercitate direttamente dallo Stato attraverso Uffici Territoriali del Governo, Provveditorati Provinciali o altre strutture decentrate. La questione che pongono verte sulla possibilità o meno di accedere ai diritti essenziali sanciti dalla Costituzione e per i quali pagano le imposte allo Stato. Il punto nodale non è se l’articolazione della Repubblica e delle sue funzioni avviene per 20 Regioni anzichè 12 o 10, nè se il numero delle Province Italiane aumenta o si riduce, ma è, se, su un territorio vasto, i cittadini di 136 comuni hanno il diritto di mandare i figli a scuola, di disporre almeno di un ospedale pubblico di II° livello, di avere strade percorrribili, di potersi spostare normalmente in treno in tempi ragionevoli, di non veder interrotta l’erogazione dell’energia elettrica, acqua o gas alla prima ondata di maltempo, di veder potenziata la propria Università, il Conservatorio Musicale ed i presidi territoriali delle Forze dell’Ordine, del Ministero di Grazia e Giustizia, dell’Anas, dell’Enel, delle Poste, delle Ferrovie dello Stato, del Ministero del Tesoro, del Ministero dell’Istruzione, del Ministero dei Lavori Pubblici, del Ministero dei Beni Culturali e del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale con un rafforzamento della dotazione organica di INPS, INAIL e Ispettorato del Lavoro. Il Molise ha perso dal 2004 oltre 5 mila posti di lavoro nel pubblico impiego e nei settori collegati, a partire dalla sanità pubblica e finire a tutti gli Uffici Periferici dello Stato e delle aziende pubbliche o partecipate dal Ministero dell’Economia. Alla perdita di 5 mila posti sicuri si è sommato l’innalzamento dell’età pensionabile, il blocco dei concorsi nei comuni, nella sanità e nella gran parte delle amministrazioni pubbliche, con un danno economico per il territorio e un colpo mortale alle aspettative di migliaia di giovani laureati che si sono trovati privi di sbocco occupazionale. Nel mentre nelle aree più dinamiche del Centro-Nord i giovani hanno avuto altre opportunità di inserimento, nel Sud e in particolare in Molise, chiusa la strada nel pubblico impiego non è rimasto che emigrare, fuggire e cercare fortuna altrove. Si è spezzato il compromesso sociale solidale tra Nord e Sud, e tra aree metropolitane e aree interne sopolate, e a differenza del passato le zone più forti hanno imposto criteri di riparto nella dotazione organica dei servizi pubblici in base al numero degli abitanti. Questo criterio ha determinato nuove assunzioni nelle scuole, negli ospedali e negli uffici comunali di Roma e Milano, a danno delle zone montane e dei territori con pochi residenti. Se non si inverte questo trend, imponendo al Governo costi differenziati perchè non è la stessa cosa gestire un quartiere di 300 mila persone in una città metropolitana e organizzare strade, pullmann, treni, scuole, ambulatori, pronto soccorso, corrente elettrica, connessione veloce, gas, acqua, ospedali e servizi per 300 mila abitanti sparsi su un territorio vasto, impervio e a forte rischio idrogeologico e sismico. Non ho rintracciato nella manovra di Bilancio Regionale alcun cenno alla necessità di aprire un confronto serio col Governo per un futuro con meno narrazioni e più fatti. Ho preso atto della triste rinuncia a voler difendere le ragioni dei molisani a Roma. Non ne comprendo le ragioni, non le condivido, ma so che nella storia, al di là delle appartenenze politiche, ciò non era mai accaduto!
Campobasso, 5 febbraio 2017
Michele Petraroia