N. 03039/2012REG.PROV.COLL.
N. 00451/2012 REG.RIC.
N. 00449/2012 REG.RIC.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 451 del 2012, proposto da:
Ministero per i beni e le attività culturali – Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici del Molise, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Api Nova Energia s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Sergio Starace e Filippo Pacciani, con domicilio eletto presso quest’ultimo in Roma, via XX Settembre, 5;
Regione Molise, in persona del presidente della Giunta e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato Antonio Galasso, con domicilio eletto presso la sede della Regione Molise in Roma, via del Pozzetto, 117;
Terna – Rete Elettrica Nazionale s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Mario Sanino, Filomena Passeggio e Giancarlo Bruno, con domicilio eletto presso lo studio legale del primo in Roma, viale Parioli, 180 – appellante incidentale;
sul ricorso numero di registro generale 449 del 2012, proposto da:
Ministero per i beni e le attività culturali -Soprintendenza ai beni architettonici e paesaggistici del Molise, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma, via dei Portoghesi, 12;
contro
Inergia s.p.a., in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Maria Cristina Lenoci e Germana Cassar, con domicilio eletto presso lo studio legale della prima in Roma, via Cola di Rienzo n. 271;
Regione Molise, in persona del presidente della Giunta e legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avvocato Antonio Galasso, con domicilio eletto presso la sede di Roma della Regione Molise in Roma, via del Pozzetto, 117;
Comune di San Giuliano di Puglia, il Comune di Santa Croce di Magliano, il Comune di Rotello, la Società Italiana di protezione dei beni culturali Onlus, Italia Nostra Onlus, non costituiti in questo grado di giudizio;
per la riforma quanto al ricorso n. 451 del 2012:
della sentenza del T.a.r. Molise – Campobasso: Sezione I n. 734/2011, resa tra le parti, concernente DINIEGO AUTORIZZAZIONE PAESAGGISTICA RELATIVA A COSTRUZIONE ED ESERCIZIO DI UN IMPIANTO EOLICO
quanto al ricorso n. 449 del 2012:
della sentenza del T.a.r. Molise – Campobasso: Sezione I n. 735/2011, resa tra le parti, concernente DINIEGO AUTORIZZAZIONE PAESAGGISTICA RELATIVA A COSTRUZIONE ED ESERCIZIO DI UN IMPIANTO EOLICO
Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio delle società Api Nova Energia s.r.l. e Inergia s.p.a., della Regione Molise e di Terna – Rete Elettrica Nazionale s.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 17 aprile 2012 il consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti gli avvocati Pacciani, Starace, Bruno, Sanino, Lentini per delega dell’avvocato Galasso, Cassar, Lenoci e l’avvocato dello Stato Fiduccia;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.Il Ministero per i beni e le attività culturali impugna distintamente le sentenze del Tribunale amministrativo regionale del Molise n. 734 (qui appello a registro generale n. 451 del 2012) e n. 735 (qui appello a registro generale n. 449 del 2012), entrambe del 15 novembre 2011, con le quali, in rispettivo accoglimento delle domande giudiziali delle odierne appellate Api Nuova Energia s.r.l. (e dichiarazione di conseguente improcedibilità del ricorso, riunito a quello, di Terna – Rete Elettrica Nazionale s.p.a., avente causa da quella ricorrente) e Società Inergia s.p.a., titolari di distinte autorizzazioni regionali per la realizzazione di due consistenti impianti eolici di produzione di energia elettrica nel territorio molisano (variamente interessanti il territorio dei comuni di Santa Croce di Magliano e Rotello il primo; il territorio degli stessi comuni oltre quello di San Giuliano di Puglia il secondo), sono stati annullati atti adottati dalla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Molise recanti l’invito alla Regione Molise a ritirare in autotutela le autorizzazione e la diffida alle società private dall’intraprendere i lavori di costruzione degli impianti.
2. Le sentenze qui impugnate accolgono i ricorsi principali delle società interessate (in sostanza solo in parte il secondo, tranne cioè la domanda di risarcimento dei danni e la domanda di accertamento degli effetti decadenziali, e favorevoli all’istanza, dell’inutile decorso del termine di annullamento dell’art. 159 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42), annullano gli atti impugnati, in particolare i decreti di diffida dall’avvio dei lavori adottati dall’organo decentrato del Ministero per i beni e le attività culturali e dichiarano inammissibili i ricorsi incidentali proposti dalla stessa Amministrazione statale, odierna appellante, avverso le autorizzazioni uniche regionali, dopo aver rilevato per ciascuno dei due casi: 1) che il dissenso espresso in conferenza di servizi dalla Soprintendenza non poteva poi impedire il rilascio da parte della Regione dell’autorizzazione unica di cui all’art. 12 d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, essendo la Soprintendenza al più titolare, ai sensi dell’art. 159 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, di un potere di annullamento – nello specifico non esercitato – delle autorizzazioni paesaggistiche regionali rilasciate nel 2009, ai sensi dell’art. 159 d.lgs. n. 42 del 2004, prima della stessa conferenza di servizi; 2) che, pertanto, dovevano ritenersi legittime le autorizzazioni uniche alla realizzazione degli impianti (n. 14 del 9 aprile 2010 e n. 20 del 20 aprile 2010) rilasciate dalla Regione Molise, nonostante il dissenso espresso e motivato fatto constatare in quella sede di conferenza di servizi dal rappresentante del Ministero per i beni e le attività culturali; 3) che, per converso, illegittime dovevano ritenersi le impugnate ripetute diffide della Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici di interdizione dell’avvio dei lavori, stante anche la palese tardività, e quindi l’inammissibilità, dei ricorsi incidentali proposti dal Ministero avverso le predette autorizzazioni uniche regionali e il difetto di loro incidentalità per mancanza di connessione con gli atti impugnati in via principale.
3. Insorge avverso tali sentenze l’appellante Amministrazione statale deducendo, in entrambi gli appelli, i seguenti motivi: a) nullità delle autorizzazioni uniche regionali rilasciate nonostante il dissenso espresso della Soprintendenza, in violazione dell’art. 14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241; b) sussistenza delle condizioni legittimanti l’impugnazione incidentale di primo grado, stante la connessione tra gli atti ivi impugnati e l’insorgenza, a seguito della proposizione del ricorso principale, dell’interesse al ricorso incidentale; c) inapplicabilità alla fattispecie del regime ordinario del procedimento di autorizzazione paesaggistica di cui al d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), e in esso del regime transitorio dell’art. 159, per essere il procedimento autorizzatorio degli impianti destinati alla produzione di energie da fonti rinnovabili autonomamente normato in via speciale ed esclusiva nell’ambito di una disciplina ad hoc, quale quella dell’art. 12 d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (salvo i procedimenti ivi richiamati, come ad es. quello, ove del caso, di valutazione di impatto ambientale).
Conclude l’Amministrazione appellante per la reiezione consequenziale dei ricorsi di primo grado, in integrale riforma di ciascuna delle due impugnate sentenze.
Si sono costituite in giudizio le appellate società nonché la Regione Molise per resistere agli appelli e chiederne la reiezione. Terna – Rete Elettrica Nazionale s.p.a. spiega altresì appello incidentale condizionato con cui torna a chiedere l’accoglimento del ricorso, dichiarato improcedibile dal primo giudice.
Le parti hanno prodotto ulteriori memorie a sostegno delle loro rispettive tesi difensive.
All’udienza del 17 aprile 2012 i ricorsi sono stati trattenuti per la sentenza.
4. Va anzitutto disposta la riunione dei ricorsi di cui epigrafe, stante l’evidente connessione oggettiva delle questioni che vi si propongono e l’opportunità della loro trattazione unitaria in vista della definizione con un’unica sentenza.
5.Gli appelli sono fondati e vanno accolti.
5.1 Le censure d’appello, proposte in entrambi i mezzi con analoghe prospettazioni difensive, possono essere trattate congiuntamente.
Come si è anticipato, il Ministero per i beni e le attività culturali censura anzitutto le sentenze impugnate nelle parti in cui il giudice di primo grado, nel dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi incidentali proposti dall’Amministrazione avverso le autorizzazioni uniche regionali, ex art. 12 d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, alla realizzazione degli impianti, non avrebbe compiutamente analizzato la natura radicale del vizio dedotto a carico di tali provvedimenti abilitativi regionali, sussumibile nella categoria giuridica della nullità e tale da sottrarre l’impugnazione incidentale dal rispetto dei termini processuali di decadenza. Secondo l’appellante Amministrazione, le autorizzazioni uniche regionali alla realizzazione degli impianti, in quanto inficiate da nullità, ai sensi dell’art. 21-septies della legge 7 agosto 1990, n. 241, per difetto assoluto di attribuzioni nonché per carenza di un elemento essenziale dell’atto (appunto l’assenso agli interventi programmati da parte della competente Soprintendenza), avrebbero dovuto considerasi tamquam non essent e come tali in ogni tempo censurabili. Inoltre, sussisterebbe il vincolo di connessione tra le impugnazioni reciproche proposte dalle parti nei giudizi di primo grado, considerato che l’interesse all’impugnazione delle autorizzazioni uniche regionali sorge proprio per effetto dell’impugnazione principale proposta dalle società avverso l’ordine inibitorio adottato dalla Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici al fine di salvaguardare interinalmente l’integrità del paesaggio, ad evitarne la compromissione a causa della realizzazione di interventi fondati su atti invalidi.
5.2 La censura è meritevole di favorevole apprezzamento.
Appare anzitutto condivisibile il rilievo preliminare che svolge l’Amministrazione ministeriale appellante riguardo alla natura speciale della disciplina legislativa sul procedimento autorizzatorio degli impianti destinati alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili.
In questa materia, il legislatore nazionale, nel dare attuazione alla direttiva comunitaria 2001/77/CE del 27 settembre 2001 (Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità), finalizzata a disciplinare uniformemente e ad incentivare tali forme di produzione di energia anche a mezzo della semplificazione dei procedimenti autorizzatori, è intervenuto con una disciplina procedimentale ad hoc che culmina con il rilascio (o con il diniego) della c.d. autorizzazione unica regionale. Questa disciplina procedimentale è definita dall’art. 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità).
Il tratto peculiare di tale disposizione, frutto delle suindicate finalità semplificatorie e di concentrazione, consiste nel fatto che la stessa ha individuato nella conferenza di servizi il modulo procedimentale ordinario essenziale alla formazione del successivo titolo abilitativo funzionale alla costruzione e all’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili.
Questa disciplina – incentrata sulla concentrazione procedimentale in ragione del confronto richiesto dall’approvvigionamento energetico mediante tecnologie che non immettano in atmosfera sostanze nocive, e sul valore aggiunto intrinseco allo stesso confronto dialettico delle amministrazioni interessate – presenta effettivamente, ratione materiae, carattere speciale e (proprio a causa di quel modulo procedimentale, che altrimenti sarebbe attenuato) anche per ciò che riguarda la valutazione dell’impatto paesaggistico, rispetto a quella ordinaria prevista all’epoca dall’art. 151 d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490 e poi dagli artt. 159 e 146 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42: di guisa che il modello procedimentale e provvedimentale legittimante l’installazione di siffatti impianti è esclusivamente quello dell’autorizzazione unica regionale, tipizzato espressamente da questo art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 (e secondo le previsioni ivi stabilite).
Ne consegue che l’ordinario procedimento di verifica della compatibilità paesaggistica, di cui ai ricordati artt. 159 e 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, non è idoneo, né da solo né se fatto “confluire” in quello della autorizzazione unica, alla legittimazione paesaggistica per (art. 12 cit., comma 3) “la costruzione e l’esercizio degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili, gli interventi di modifica, potenziamento, rifacimento totale o parziale e riattivazione, come definiti dalla normativa vigente, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli impianti stessi”; e che dunque – in deroga a quanto stabilito per tutti gli altri interventi – il potere di annullamento previsto in via transitoria dall’art. 159, o quello di parere preventivo previsto a regime con le forme dell’art. 146 in capo al Ministero per i beni e le attività culturali non rappresenta la modalità, voluta dalla legge, di concreta cogestione statale delle verifiche locali di questa compatibilità.
Stante questa specialità e la chiara espressione normativa del richiamato art. 12 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, e considerato che l’autorizzazione unica va rilasciata “nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico”, la conferenza di servizi è per la legge la sede propria e esclusiva (senza alcuna “confluenza” parcellizzante il confronto) in cui le amministrazioni interessate (e in particolare il Ministero per i beni e le attività culturali) manifestano – con le forme ivi necessarie – l’assenso o il dissenso rispetto al rilascio del domandato titolo abilitativo regionale alla realizzazione dell’impianto.
Quel procedimento dell’art. 12 è infatti “unico”, nel senso di unitario ed assorbente le altre, generali, modalità di verifica degli interessi pubblici incisi, e rispetto ad esso trovano applicazione, per quanto non diversamente previsto, le disposizioni generali sul procedimento amministrativo di cui alla l. 7 agosto 1990, n. 241, come espressamente richiamate dall’art. 12, comma 4.
Consegue da questo rinvio alla l. n. 241 del 1990 e dunque a quell’art. 14-quater, che le amministrazioni convocate hanno in sede di conferenza di servizi l’onere di esprimere il proprio motivato dissenso rispetto all’oggetto dell’iniziativa procedimentale: e che se il dissenso è espresso – tra l’altro – da amministrazioni preposte alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico (da convocare a pena di invalidità del procedimento, ove si faccia comunque questione di interessi da loro istituzionalmente curati, e in modo tale da consentirne l’effettiva partecipazione per rispetto del principio generale di leale collaborazione oggi testualmente richiamato dallo stesso art. 14-quater, comma 3), l’eventuale superamento del dissenso deve seguire le specifiche norme procedimentali appositamente stabilite dallo stesso art. 14-quater (cfr. Cons. giust. amm. sic., 11 aprile 2008, n. 295; Cons. Stato, VI, 22 febbraio 2010, n. 1020).
Consegue da quanto qui riassunto che il procedimento abilitativo non può, sulla base di una fonte inidonea a derogare all’esigenza legislativa di concentrazione e semplificazione espressa dall’art. 12, nemmeno mediante un atto generale e astratto essere surrettiziamente parcellizzato dall’Autorità procedente in più segmenti, ciascuno con una disciplina procedimentale differenziata. Ne consegue altresì che gli organi del Ministero per i beni e le attività culturali sono il soggetto abilitato ad esprimere, nella sede propria che è quella della conferenza di servizi, l’assenso ovvero il motivato dissenso alla realizzazione dell’impianto, dopo aver istituzionalmente vagliato la sua compatibilità con l’interesse paesaggistico o culturale affidato alle loro cure: e che tali forme di espressione del giudizio relativo alla compatibilità paesaggistica non sono altrimenti regolabili, perché non possono essere disciplinate da altra fonte che la legge.
Inoltre, occorre ricordare che l’interesse paesaggistico ha carattere preminente, perché la tutela del paesaggio è principio fondamentale della Costituzione (art. 9); che perciò anche in questo speciale procedimento abilitativo, che richiede il ricordato “rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico”, occorre assicurare – pena il sospetto di incostituzionalità – adeguatamente la difesa di questo interesse mediante l’esercizio, ove occorra, di poteri senz’altro interdittivi (cfr. l’estrema difesa del vincolo, di cui a Corte cost. 27 giugno 1986, n. 151; 18 ottobre 1996, n. 341; 25 ottobre 2000, n. 437; Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9); che la semplificazione procedimentale può sì perseguire l’obiettivo di speditezza del procedimento (che viene giustificata dalle necessità di approvvigionamento energetico anche mediante tecnologie non inquinanti l’aria), ma – specie a questi riguardi – non surrettiziamente invertire il rapporto sostanziale tra interessi e sottrarre effettività a un principio fondamentale dell’ordinamento costituzionale. Perciò il dispositivo procedimentale dell’art. 14-quater opera nel senso che il dissenso espresso motivatamente dal Ministero per i beni e le attività culturali in sede di conferenza di servizi a tutela dell’interesse sensibile cui è istituzionalmente preposto (e perciò dissenso “qualificato”), non può essere superato nella stessa sede conferenziale come avviene, ai sensi dell’art. 14-ter, per altri interessi non sensibili che dovessero risultare antagonisti tenendo conto nelle determinazione conclusiva delle posizioni prevalenti espresse in quella sede di conferenza (art. 14-ter, comma 6-bis, come introdotto dall’art. 10 l. 11 febbraio 2005, n. 15 e poi sostituito dall’art. 49, comma 2, lett. d), d.-l. 31 maggio 2010, n. 78 – Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica, convertito, con modificazioni, dalla l. 30 luglio 2010, n. 122).
Iinfatti l’art. 14-quater, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241 prevedeva, al tempo (febbraio 2010) delle conferenze di servizi in questione (vale a dire nel testo introdotto dall’art. 11, comma 1, lett. b), l. 11 febbraio 2005, n. 15 e cioè prima dell’art. 49, comma 3, lett. d), d.-l. n. 78 del 2010, come convertito dalla l. n. 122 del 2010) che “se il motivato dissenso è espresso da un’amministrazione preposta alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale, del patrimonio storico-artistico o alla tutela della salute e della pubblica incolumità, la decisione è rimessa dall’amministrazione procedente, entro dieci giorni: a) al Consiglio dei Ministri, in caso di dissenso tra amministrazioni statali; b) alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, di seguito denominata “Conferenza Stato-regioni”, in caso di dissenso tra un’amministrazione statale e una regionale o tra più amministrazioni regionali; c) alla Conferenza unificata, di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, in caso di dissenso tra un’amministrazione statale o regionale e un ente locale o tra più enti locali. Verificata la completezza della documentazione inviata ai fini istruttori, la decisione è assunta entro trenta giorni, salvo che il Presidente del Consiglio dei Ministri, della Conferenza Stato-regioni o della Conferenza unificata, valutata la complessità dell’istruttoria, decida di prorogare tale termine per un ulteriore periodo non superiore a sessanta giorni”.
In tal modo, come evidenziato dalla dottrina, la decisione è devoluta ad un altro e superiore livello di governo e con altre modalità procedimentali. L’effetto di un tale dissenso qualificato espresso a tutela di un interesse sensibile (cioè di particolare eco generale, di incidenza non riparabile o facilmente riparabile, e per di più qui riferito a un valore costituzionale primario) è dunque di spogliare in toto la conferenza di servizi della capacità di ulteriormente procedere – o meglio, di spogliare in termini assoluti l’amministrazione procedente della sua competenza a procedere e sulla base del modulo della conferenza di servizi – e di rendere senz’altro dovuta, ove l’amministrazione procedente stessa intenda perseguire il superamento del dissenso, la sua rimessione degli atti a diversa autorità, vale a dire al menzionato livello, a differenza del precedente impegnativo di responsabilità di ordine costituzionale. In questi casi dunque la manifestazione del dissenso qualificato in conferenza di servizi provoca senz’altro la sostituzione della formula e del livello del confronto degli interessi, fa cessare il titolo dell’amministrazione procedente a trattare nella sostanza il procedimento salvo, in conformità al dissenso, rinunciare essa stessa allo sviluppo procedimentale e disporre negativamente sull’iniziativa che gli ha dato origine.
In questo quadro, nel rispetto della competenza propria dell’amministrazione dissenziente, nessun potere ha l’amministrazione procedente circa il vaglio di quel dissenso qualificato, se non quello formale di presa d’atto e di conseguente propria conformazione, o procedimentale o sostanziale.
5.3 Osserva il Collegio che nelle fattispecie oggetto di lite tali essenziali regole procedimentali sono state macroscopicamente violate dalla Regione Molise rispetto al dissenso qualificato espresso in conferenza di servizi dal Ministero per i beni e le attività culturali.
La Regione Molise ha infatti, in entrambi i casi, malgrado il motivato dissenso espresso in sede di conferenza di servizi dalla soprintendenza competente, disatteso sine titulo il dissenso medesimo e sine titulo trattenuto la trattazione favorevole nel merito del procedimento e rilasciato in favore delle società interessate le autorizzazioni uniche regionali per realizzare gli impianti: quando invece avrebbe dovuto senz’altro rimettere, per superarlo secondo le forme di legge, la questione al livello di governo di cui al richiamato, chiaro schema procedimentale di cui all’art. 14-quater, comma 3.
Non appare pertinente il rilievo della Regione Molise, fatto proprio dal giudice di primo grado, secondo cui il Ministero avrebbe potuto al più esprimersi, in conferenza di servizi, per l’annullamento delle già rilasciate (nel 2009) autorizzazioni paesaggistiche regionali. Un tale assunto, infatti, è contra legem perché, in deroga alla ricordata specialità del procedimento dell’art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003, vi vorrebbe innestata una precedente sequenza propria del procedimento generale dell’art. 159 d.lgs. n. 42 del 2004 (disposizione per di più al tempo – 2010 – della conferenza di servizi non più attuale, essendone cessata la portata transitoria il 31 dicembre 2009), che nella specie era comunque inidoneo a definire in concreto la fattispecie. Infatti, riguardo alla fonte che a dire delle imprese e della Regione legittimerebbe un tale innesto di procedimenti (il d.G.R. 16 novembre 2009, n. 1074, in b.u.r. Molise 1 dicembre 2009, n. 29), va considerato che, trattandosi come ricordato di previsione legislativa statale, per i principi generali sulla gerarchia delle fonti non è idonea a derogarvi – a parte ogni questione di competenza e di efficacia nel tempo – e va perciò non applicata dal giudice (cfr. Cons. Stato, IV, 8 luglio 2003, n. 4051; VI, 25 giugno 2007, n. 3561; VI, 3 ottobre 2007, n. 5098; VI, 29 maggio 2008, n. 2536; V, 4 marzo 2008, n. 889; VI, 2 marzo 2009, n. 1169) una mera deliberazione di Giunta regionale, quale detta d.G.R. n. 1074 del 2009 che, nel porre con previsioni generali e astratte e perciò normative, le linee guida regionali per lo svolgimento del procedimento unico dell’art. 12, comma 3, patentemente innova alla legge stessa. Essa infatti per le aree paesisticamente vincolate continua a prevedere, e come presupposto, anche l’autorizzazione paesaggistica, seppur “integrandola” nel procedimento unico (artt. 5, comma 1, lett. e) e 4 dell’allegato). Né, per la giurisprudenza costituzionale, la regione è abilitata a derogare all’assetto delineato dalla norma di principio fondamentale dell’art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 (cfr. Corte cost., 4 giugno 2010, n. 194, riguardante la stessa Regione Molise; 15 giugno 2011, n. 192).
In realtà, in sede di autorizzazione ad un impianto di tal fatta, quando cioè opera la norma speciale sul procedimento unico dell’art.12 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387, la sola sede – a parte i poteri interdittivi, sanzionatori, sollecitatori e cautelari (nella specie esercitati con le richieste di autotutela e con l’inibizione dei lavori) – dove l’Amministrazione per i beni e le attività culturali può – proprio per il valore aggiunto del confronto dialettico – manifestare la valutazione di sua spettanza è quella della conferenza di servizi, richiamata dalla stessa disposizione. Ne consegue che non è idonea ad impegnarla un’indebita, precedente attivazione del procedimento di autorizzazione paesaggistica nelle forme, ultra vires, del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
Pertanto nei casi di specie la circostanza che l’Amministrazione statale non si sia pronunciata in sede di possibile annullamento, ex art. 159 del Codice, dell’autorizzazione paesaggistica è inidonea a produrre effetti (anche deprivanti del potere di pienamente pronunciarsi in sede di conferenza di servizi, nel quadro del procedimento per l’autorizzazione unica dell’art. 12). Il procedimento di autorizzazione paesaggistica, infatti, era privo di base legislativa e inefficace in ogni suo atto. Si aggiunga che opportunamente l’Amministrazione statale, chiamata a valutare la rilasciata autorizzazione paesaggistica, aveva (31 marzo 2009 e 21 settembre 2009) in quel margine di suo tempo avvertito che si sarebbe pronunciata solo nella giusta sede di conferenza di servizi.
Non appare perciò condivisibile l’ulteriore proiezione difensiva di tale tesi, secondo cui detto potere di annullamento soprintendentizio, non utilmente esercitato in sede di conferenza, si sarebbe irrimediabilmente consumato per decorso del termine di cui all’art. 159 del d.lgs. n. 42 del 2004.
Si è detto che in base al modello procedimentale semplificato previsto dall’art.12 del d.lgs. 29 dicembre 2003, n. 387 la valutazione di compatibilità paesaggistica dei distinti interventi doveva essere espressa da tutte le amministrazioni interessate per quanto di rispettiva spettanza non già seguendo lo schema generale del Codice dei beni culturali e del paesaggio, ma esprimendola direttamente nella contestualità della conferenza di servizi, e che il motivato dissenso in tale sede manifestato dalla Soprintendenza avrebbe dovuto comportare il ricordato effetto devolutivo, con ben diverso sviluppo procedimentale e soprattutto con ben distinte figure soggettive chiamate ad adottare la determinazione conclusiva sull’assentibilità dell’intervento.
Inoltre, non è fuor di luogo rilevare che l’adesione alla tesi della Regione Molise e delle parti private, lungi dal perseguire la semplificazione del procedimento, implicherebbe un inammissibile aggravio del procedimento autorizzatorio e un’elusione delle finalità dialettiche proprie del confronto in sede di conferenza di servizi (con una prima fase di competenza esclusivamente regionale che si svolgerebbe in via isolata e preliminare rispetto ai lavori della conferenza ed una fase interna alla conferenza nel cui ambito la Soprintendenza avrebbe, nel regime transitorio di cui all’art. 159 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, un potere di annullamento del titolo paesaggistico già rilasciato dalla Regione), in spregio alle chiare previsioni contenute nell’art. 12 che postulano l’unicità del procedimento, prima ancora che del provvedimento finale.
5.4 Alla luce di quanto osservato, il Collegio ritiene che la Soprintendenza abbia legittimamente esercitato nel caso di specie le sue spettanze, astenendosi dall’esercitare un inesistente potere di annullamento, in subiecta materia, sulle autorizzazione paesaggistiche regionali, indebitamente rilasciate prima dell’avvio dei lavori della conferenza di servizi, ed esprimendo invece – come la legge consentiva – in conferenza di servizi il suo motivato dissenso rispetto agli interventi, in ragione della pregevolezza paesaggistica dei luoghi e della ritenuta incompatibilità con i corrispondenti valori delle trasformazioni territoriali funzionali alla realizzazione degli impianti e dell’impatto visuale negativo generato da quelle torri eoliche.
Quanto alla qualificazione giuridica degli atti precedenti, qualificazione da cui traggono legittimazione quelli qui impugnati, in base a quanto detto le autorizzazioni paesaggistiche ai sensi dell’art. 159 d.lgs. n. 42 del 2004 erano non meramente illegittime, ma – come dice l’Amministrazione appellante –irrilevanti: vale a dire, posto che ciò che, pur avendo un’apparente veste giuridica, non produce effetto alcuno è in diritto nullo, nulle,e con loro nullo tutto quel procedimento,alla luce dell’art. 21-septies della legge 7 agosto 1990, n. 241 e – considera il Collegio sulla scorta del rilievo dell’appellante che quella normativa qui “non trova applicazione” perché esiste una normativa ad hoc – per difetto assoluto di attribuzione. Non si poteva infatti procedere all’azione amministrativa circa questi impianti con le codicistiche sequenze e le loro interlocuzioni successive e a distanza, perché la legge dettava in loro luogo e in relazione anche a quella cura di interessi la speciale – e ben altra per struttura concentrata, poteri da esercitare e schema procedimentale – forma dell’art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003. Dunque erano atti permanentemente improduttivi di effetti.
Si tratta qui, invero, non di una questione circa il concreto cattivo uso di un potere dato, ma di uso di un potere non dato dalla legge. Si deve, a questo proposito, aver riguardo non alla semplice competenza alla cura di un interesse e alla sua manifestazione con un atto quale che sia, ma alla sequenza che lo deve comprendere in cui va contestualizzato e all’interlocuzione definita dall’apposito modello legale di procedimento. La regolamentazione del singolo procedimento amministrativo infatti – si rileva da tempo – rappresenta non solo la forma dell’azione amministrativa, ma anche la sua sostanza e la sua organizzazione intima, in particolare per ciò che riguarda la distribuzione del potere, la cooperazione dei soggetti coinvolti nello e dall’esercizio del potere stesso, la formazione del contenuto della decisione. Le particolari modalità di interlocuzione – temporali, soggettive, dialettiche – plasmano l’assetto, voluto dalla legge che regola il singolo procedimento, della supremazia pubblica e della sua capacità di incidenza nei comportamenti altrimenti liberi. Perciò, nel giudizio circa un’azione pubblica, è essenziale la rilevazione preliminare – che astrae dal modo con cui poi nel caso singolo si è sviluppata – dell’attribuzione di questa specifica capacità ad opera della legge, cioè dell’attribuzione del procedimento. Vi è coerente, in sede processuale, il dato che il Codice del processo amministrativo prevede la rilevabilità d’ufficio della nullità (art. 31, comma 4), che è logicamente prioritaria perché il giudizio di annullabilità (art. 29), che postula necessariamente uno specifico interesse a ricorrere e implica un’efficacia interinale o per acquiescenza dell’atto illegittimo, concerne soltanto l’esercizio di un potere attribuito dalla legge: diversamente, in deroga al principio di legalità, quella speciale efficacia sarebbe data ad un’interlocuzione sul potere che la legge in realtà non contempla.
Non solo: qui la nullità di quel procedimento è tale che avrebbe travolto e reso privo di rilievo anche l’ipotetico annullamento ministeriale ex art. 159 (o, all’opposto, un eventuale atto di assenso ministeriale) dell’autorizzazione paesaggistica. Se il Ministero vi si fosse pronunciato, la sua sarebbe stata un’espressione senza conseguenze (come lo è il non pronunciarsi in quel contesto) e senza implicazioni condizionanti l’espressione di valutazione nella giusta sede della conferenza di servizi. Dunque pienamente corretta, anche da questo punto di vista, è stata la scelta ministeriale di non esprimervisi.
Queste considerazioni riguardano i presupposti degli atti impugnati, al pari della considerazione che, quanto al duplice procedimento di autorizzazione unica regionale ai sensi dell’art. 12 d.lgs. n. 387 del 2003 (che comunque, ai sensi del comma 3, deve rispettare “le normative vigenti in materia di tutela dell’ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico”: rispetto che qui non vi è stato con la disapplicazione del dissenso qualificato di cui si verte), come espressamente rileva l’Amministrazione appellante vi è nullità: anzitutto per difetto assoluto di attribuzione. Il semplice fatto dell’insorgenza del dissenso qualificato in conferenza di servizi poneva infatti irrimediabilmente fine alla possibilità di esercizio, cioè all’attribuzione, del potere mediante quel modulo e da parte di quell’autorità per assegnarlo ad un’autorità altra e diversa. Sicché cessava (salva l’ipotesi di decisione conforme al dissenso) la sussistenza della capacità che vi ineriva, specie per gli atti conseguenti, e rendeva necessaria la devoluzione, per proseguire nel senso che è stato praticato, a ben altro e distante livello di governo e di modo di confronto degli interessi. Quell’altro livello è di dignità pari a quella dell’implicazione in esso del corrispondente organo costituzionale, e va posto in relazione alla concreta incidenza, manifestata con questo dissenso qualificato del Soprintendente, sul principio fondamentale dell’art. 9 Cost., norma che costituzionalizza e al massimo rango la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della Nazione.
La sottrazione della decisione circa una tale incidenza a quel livello, e alle inerenti modalità e forme di riparto e distribuzione del potere, rappresenta un esercizio di attività amministrativa ormai senza più alcun titolo di competenza e dunque svolta in carenza dell’attribuzione di legge.
Non solo: sempre alla luce dell’art. 21-septies, vi è anche nullità, come ancora testualmente indica l’Amministrazione appellante, delle stesse autorizzazioni uniche regionali per un’insanabile loro manchevolezza strutturale, cioè per difetto dell’elemento essenziale dell’assenza di dissensi qualificati nella previa conferenza di servizi (che è una forma di mancanza di un’essenziale volontà amministrativa a che la conferenza di servizi possa aver seguito nella direzione dell’istanza). LaRegione Molise, una volta emerso in conferenza di servizi – senza pregiudizio proprio in virtù di quella preesistente nullità – il motivato dissenso dell’autorità statale preposta alla tutela dell’interesse paesaggistico e culturale (basato su un apprezzamento che, indipendentemente da qualsiasi questione sul tema – cfr. Cons. Stato, Ad. plen., 14 dicembre 2001, n. 9; II, 6 febbraio 2002, n. 2457/2001 -, ratione temporis aveva comunque a quel momento l’ampia latitudine sostanziale prevista dall’art. 146 d.lgs. n. 42 del 2004 e non più quella dell’ormai inattuale art. 159), era completamente sfornita del potere di adottare la determinazione favorevole conclusiva all’esito dei lavori delle conferenze di servizi. Anziché censurare, senza potere, quell’espressione di dissenso qualificato, come detto essa avrebbe dovuto – per eventualmente superarlo – senz’altro rimettere la questione all’istanza superiore, investita in via esclusiva dalla legge del confronto degli interessi rivelati in conflitto.
Non vi era qui dunque necessità, da parte dell’Amministrazione statale, di impugnazione di dette autorizzazioni uniche nel termine decadenziale previsto per l’atto illegittimo e indipendentemente da ogni questione, per questo ultronea, circa la mancata comunicazione, la pubblicazione in Bollettino ufficiale solo per estratto o la piena conoscenza da parte ministeriale delle autorizzazioni uniche medesime.
Quanto ai caratteri formali del dissenso, così manifestato in conferenza di servizi, vale rilevare – ai fini della necessaria presa d’atto da parte della Regione, che vi faceva fronte – che appaiono in ciascuno dei due casi esposte le circostanze di fatto e gli elementi specifici presi in considerazione dall’Amministrazione statale ai fini del giudizio tecnico (e non discrezionale) di concreta non compatibilità degli impianti con il contesto tutelato.
Come poi gli atti qui impugnati, quel giudizio ostativo – che da parte regionale si sarebbe privato di effetti con la prosecuzione senza base di legge del procedimento di autorizzazione unica – fa richiamo, a prima tutela di quel medesimo interesse pubblico, alla qualificazione recata dal P.T.P.A.A.V. (Piano Territoriale Paesistico-Ambientale di Area Vasta) n. 2 (Lago di Guardalfiera – Fortore Molisano) – approvato con deliberazione n. 92 del 16 aprile 1998. In virtù dell’art. 8 (Efficacia) l.r. Molise 1 dicembre 1989, n. 24 (Disciplina dei piani territoriali paesistico-ambientali), i contenuti di questi tipi di piano (comma 1) “equivalgono a dichiarazione di notevole interesse pubblico ai sensi della legge n. 1497 del 1939” e (comma 2) le loro disposizioni “sono vincolanti per i privati e prevalgono nei confronti dell’attività dei soggetti pubblici partecipanti al governo del territorio regionale”: sicché le trasformazioni che vi si immaginano debbono essere sottoposte a giudizio di compatibilità.
Sempre incidentalmente, e per via della legittimazione degli atti impugnati che deriva dalle rilevate nullità, va considerato che ratione temporis, in relazione a un procedimento di autorizzazione unica avviato in entrambi i casi nel 2010, la valutazione spettante agli organi del Ministero certo aveva (non le forme, come detto, ma) i medesimi contenuti dell’art. 146. Il giudizio – che ha richiamato detta qualificazione e con essa quelle di dettaglio discendenti con gli elementi fattuali di rilievo e di paragone, come le caratteristiche materiali del territorio interessato (cfr ad es., per il primo, la Badia di Santa Maria di Melanico) – ha così avuto ad oggetto la compatibilità paesaggistica delle opere, in ordine alla quale la discrezionalità tecnica non subisce restrizioni o automatismi da quel piano. In contrario non vale – sia per tipo di procedimento che per tempo di avvio dello stesso – la circolare ministeriale n. 2089 del 22 gennaio 2010, la quale ha ad oggetto il diverso tema del regime transitorio dei procedimenti avviati sotto l’art. 159 e pendenti alla data del 1 gennaio 2010.
Perciò negli atti qui impugnati appare ultroneo, e dunque non incidente, il richiamo del divieto assoluto di impianti eolici dell’art. 1, comma 1, lett. b) della poi intervenuta l.r. Molise 23 dicembre 2010, n. 23, che all’art. 2 (sulle aree qualificate non idonee all’installazione di questi impianti) l.r. 7 agosto 2009, n. 22 (Nuova disciplina degli insediamenti degli impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili nel territorio della Regione Molise), introduce il comma 1-bis, per cui ai sensi dell’allegato 3, lett. f), d.m. 10 settembre 2010 (Linee guida per l’autorizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili) “costituiscono aree e siti non idonei alla installazione di impianti eolici le aree e i beni di notevole interesse culturale” dichiarati o beni culturali o beni paesaggistici. Il fatto che questa legge regionale segua le autorizzazioni uniche non è influente, perché gli atti qui impugnati correttamente danno per nulle le autorizzazioni uniche in base ai sufficienti rilievi ricordati. All’opposto, non rileva che questa legge regionale sia stata poi dichiarata costituzionalmente illegittima da Corte cost., 11 novembre 2011, n. 308, perché la circostanza così insorta ex post che al tempo degli atti qui impugnati non potesse ritenersi in atto un siffatto divieto generalizzato per tipologie non significava l’opposto (cioè la presunzione assoluta di compatibilità di questi interventi), e dunque il giudizio di compatibilità andava – come è stato fatto- svolto in concreto, e nella giusta sede della conferenza di servizi.
6. La rilevata nullità delle autorizzazione regionali uniche, impugnate con ricorso incidentale di primo grado dall’Amministrazione statale appellante, consente di ritenere superata la questione della tardività di tali impugnazioni, stante il carattere imprescrittibile dell’eccezione di nullità (art. 31, comma 4, Cod. proc. amm.) e la natura dichiarativa della sentenza che, nel concorso delle condizioni e finanche in mancanza di una domanda di parte accerta la ricorrenza di una causa di nullità e quindi l’inefficacia giuridica degli atti che ne siano affetti.
Sotto il distinto profilo della pretesa carenza del carattere processuale dell’incidentalità, sul quale il primo giudice ha anche fondato la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi a lui proposti dall’Amministrazione statale e in disparte la stessa possibilità di qualificare gli stessi come ricorsi autonomi, non appare dubbia la relazione di stretta connessione – e quindi l’ammissibilità, anche sotto tal profilo, dei ricorsi incidentali di primo grado – con l’impugnazione principale proposta avverso i provvedimenti inibitori adottati dalla Soprintendenza sull’assunto della radicale invalidità delle presupposte autorizzazioni regionali. Risulta infatti evidente nei due casi l’interesse del Ministero appellante a far constare la radicale nullità delle autorizzazioni regionali, una volta che le società private hanno impugnato il suo ordine di non dar corso ai lavori di realizzazione degli impianti.
7. Per completezza il Collegio osserva che non è condivisibile la tesi delle società appellate, esposta in memoria conclusiva del 5 aprile 2012, secondo cui il modello procedimentale introdotto dalla disposizione normativa statale suindicata non avrebbe potuto trovare applicazione nei casi di specie in quanto l’istruttoria procedimentale si sarebbe svolta prima dell’approvazione delle linee-guida nazionali per lo svolgimento del procedimento di autorizzazione unica, di cui all’art. 12, comma 10, d.lgs. n. 387 del 2003, introdotte con d.m. 10 settembre 2010 (pubblicato in G.U. 18 settembre 2010, n. 219) e che, in ogni caso, dal contenuto di tali linee guida si ricaverebbe la potestà delle Regioni di derogare, in funzione semplificatoria, al modello procedimentale statale perché la disposizione transitoria e finale di cui al punto 18.3 prevede che “al fine di ridurre i tempi evitando duplicazioni di atti ovvero di valutazioni in materia ambientale e paesaggistica, le Regioni possono individuare le più opportune forme di semplificazione e coordinamento tra i procedimenti […] per i procedimenti i cui esiti confluiscono nel procedimento unico di cui all’articolo 12 del D.Lgs. n. 387 del 2003”.
Anzitutto va osservato che la funzione principale di tali linee-guida nazionali, soprattutto nel settore dell’energia prodotta con la forza propulsiva del vento, è stata quella di, come dice la legge, “assicurare un corretto inserimento degli impianti, con specifico riguardo agli impianti eolici, nel paesaggio” e dunque di dettare criteri ai fini della selezione e localizzazione degli impianti, ma senza introdurre con una fonte subordinata statale deroghe alla disciplina legislativa sul procedimento unico autorizzatorio. Inoltre la temporanea mancata adozione di queste linee-guida non risulta qui aver comportato atti interdittivi riguardo all’applicazione del procedimento autorizzatorio di cui al richiamato art. 12 d.lgs. 29 dicembre 2003, n.387: e del resto le stesse linee-guida si prendono cura di disciplinare il regime dei procedimenti in corso ai sensi di tale base normativa legislativa (v. punto 18.4); inoltre – anche per le ragioni sopra esposte circa l’idoneità della fonte – non appare pertinente il riferimento a quanto contenuto nel punto 18.3 delle linee guida statali per inferire un’inesistente facoltà per le Regioni di introdurre deroghe al procedimento autorizzatorio delineato dalla legge statale, il cui modello è unico e semplificato su tutto il territorio nazionale.
8. Nemmeno appare convincente, da ultimo, il rilievo secondo cui la disciplina di dettaglio regionale recata dalla ricordata delibera di Giunta regionale del Molise 16 novembre 2009, n. 1074 avrebbe in concreto portata derogatoria rispetto allo schema procedimentale statale, postulando la formazione della autorizzazione paesaggistica regionale (artt. 5, comma 1, lett. e) e 4 dell’allegato) prima della indizione della conferenza di servizi.
A parte la, già esaminata e comunque assorbente, evidente erroneità di una tale costruzione giuridica nella parte in cui profila la possibilità che una fonte sostanzialmente regolamentare regionale possa derogare a quella legislativa primaria statale, vi è anche che in ogni caso l’assunto può apparire fuorviante in punto di fatto, perché questo art. 4 sembra riferirsi essenzialmente alla “procedura di verifica ambientale”, che qui non viene in gioco.
9. Consegue dai rilievi svolti la piena legittimità, e anzi il carattere dovuto, degli ordini di inibizione dei lavori emanati dalla Soprintendenza sul corretto rilievo della insussistenza, in relazione ad entrambi gli impianti per cui è giudizio, di un valido titolo abilitativo alla loro realizzazione e della necessità di apprestare comunque (indipendentemente cioè dalla questione del titolo) una tutela cautelare e preventiva-interinale, da riferire con riconoscibile evidenza alle disposizioni circa i poteri cautelari generali in materia, vale a dire gli artt. 28 (Misure cautelari e preventive, per i beni culturali) e 150 (Inibizione o sospensione dei lavori, per il paesaggio) d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, a salvaguardia dal pregiudizio ai valori culturali e paesaggistici compendiati nei luoghi oggetto dei distinti interventi, in attesa dell’accertamento giudiziale (qui occorso) della invalidità radicale dei titoli abilitativi rilasciati dalla Regione Molise. Altrettanto vale per la contestuale richiesta ministeriale di autoannullamento dell’autorizzazione unica, rivolta alla Regione Molise. Per entrambi, infatti, sussistevano i presupposti di legge per procedere con urgenza da un lato alla difesa della legalità formale e delle prerogative della tutela violate con atti nulli, e dall’altro per contrastare, inibendola, la protrazione del comportamento senza titolo, materialmente lesivo degli interessi protetti e vulnerati, che vi si collegava. Anche per questi atti, che manifestano adeguatamente seppur sinteticamente una valutazione di ordine tecnico inerente alla tutela, non può essere fatto carico di non esprimere anche valutazioni di comparazione e ponderazione di interessi che sono invece proprie della discrezionalità amministrativa, del tutto estranea alla fattispecie. Quanto alla competenza (eccepita nel primo ricorso), che il Direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici – che “coordina l’attività delle strutture periferiche del Ministero”, che del suo ufficio “costituiscono articolazione” (e che è stato configurato con le attribuzioni generali di cui all’art. 5, comma 5, d.lgs. 8 gennaio 2004, n. 3 e 16 d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165) – possa emanare atti come quelli qui impugnati, è reso palese dal d.P.R. 26 novembre 2007, n. 233 (Regolamento di riorganizzazione del Ministero per i beni e le attività culturali, a norma dell’articolo 1, comma 404, della L. 27 dicembre 2006, n. 296), a tenore del cui art. 17, lett. i), egli “impone ai proprietari, possessori o detentori di beni culturali gli interventi necessari per assicurarne la conservazione”: potestà che per economia ed efficacia dell’azione amministrativa attrae anche quella sui beni paesaggistici, posto che qui l’intervento concerneva ambiti di due soprintendenze di settore, e senza che alcuna influenza vi potessero esercitare gli atti espressi nel radicalmente invalido procedimento di autorizzazione paesaggistica.
10 In definitiva, gli appelli vanno accolti e, in riforma delle impugnate sentenze, devono essere totalmente respinti i ricorsi di primo grado delle odierne società appellate (e l’appello incidentale condizionato di Terna – Rete Elettrica Nazionale s.p.a.), essendo ammissibili e fondati i ricorsi incidentali proposti dall’Amministrazione statale nell’ambito dei giudizi di prima istanza.
Le spese del doppio grado di giudizio seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sui ricorsi in appello (RG n. 451/2012 e n. 449/2012), come in epigrafe proposti, li accoglie previa riunione e per l’effetto, in riforma delle impugnate sentenze, respinge i ricorsi di primo grado proposti dalle società API Nuova Energia e Terna – Rete Elettrica Nazionale s.p.a. (nell’ambito del giudizio RG n.87/2011) e Inergia s.p.a. (nell’ambito del giudizio RG n.98/2011) e respinge l’appello incidentale di Terna – Rete Elettrica Nazionale s.p.a..
Condanna le parti appellate costituite al pagamento, in favore del Ministero per i beni e le attività culturali, delle spese e degli onorari del doppio grado dei giudizi, che liquida complessivamente in euro 20.000,00 (ventimila/00), di cui euro 10.000,00 (diecimila/00) a carico della Regione Molise, euro 5.000 (cinquemila/00) a carico della società Inergia s.p.a., euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) a carico di Terna s.p.a. ed euro 2.500,00 (duemilacinquecento/00) a carico di Api Nova Energia s.r.l.; importi tutti da incrementare dell’iva e del cpa, come per legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 17 aprile 2012 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini, Presidente
Rosanna De Nictolis, Consigliere
Maurizio Meschino, Consigliere
Claudio Contessa, Consigliere
Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore
L’ESTENSORE IL PRESIDENTE
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
Il 23/05/2012
IL SEGRETARIO
(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)