Alla cortese attenzione:
Padre Antonio Germano
CHUKNAGAR – BANGLADESH
Padre Antonio,
grazie per il messaggio di auguri che arriva dal villaggio di CHUKNAGAR nel BANGLADESH e sarà mia premura inoltrarlo non solo agli amici di Duronia sparsi nel Mondo ma anche alla comunità molisana che saprà apprezzare la sobrietà preziosa di un impegno vivo, autentico e costante.
Il tuo esempio ci incoraggia a superare le miserie quotidiane delle società opulente dell’occidente e a non smarrire la strada dell’universalità dei diritti umani, dell’uguaglianza tra i popoli e della pace.
Grazie ancora e Buon 2015 a tutta la tua comunità di CHUKNAGAR!
Campobasso, 7 gennaio 2015
L’Assessore
Michele Petraroia
UNA DOMENICA DA PARIA
Una domenica da untouchable (fuori-casta). Non è la prima volta e penso che non sarà neppure l’ultima, ma quando capita, c’è da divertirsi. Si apre la giornata con la celebrazione liturgica. Si comincia di buon’ora, alle sei e mezzo, perché qui in Bangladesh la domenica è giorno lavorativo e quindi bisogna sistemare il Signore prima delle otto del mattino. L’assemblea domenicale risulta formata dal piccolo nucleo di battezzati (una diecina in tutto) e da quello più numeroso dei catecumeni, una sessantina, con i quali abbiamo iniziato il lungo cammino (almeno quattro anni) di avvicinamento a Gesù, che culminerà con il battesimo. La liturgia, naturalmente, con i canti e le letture, l’abbiamo preparata in anticipo, perché sia il più possibile partecipata. E’ uno dei punti su cui ho insistito molto fin dall’inizio, perché, come ho sempre sottolineato, qui stiamo ponendo le basi di una tradizione, che sarà il punto di riferimento per tutti quelli che diventeranno discepoli di Gesù nella zona e in futuro.
Il breve testo del vangelo di oggi riecheggia il passo fondamentale del libro del Deuteronomio: ascolta, Israele, il Signore è il nostro Dio, uno è il Signore. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze (Dt. 6,5), completato da quello del Levitico: Amerai il prossimo tuo come te stesso (Lv. 19,18). Da questi due comandamenti, dice Gesù, dipende tutta la Legge e i Profeti. Non so che riflessione abbiate fatto voi, cari Duroniesi sparsi per il mondo, ma per la mia gente questa è una novità assoluta, è la novità del messaggio di Gesù, che contiene in sé il germe di quella umanità nuova, senza discriminazione di casta, di razza o di religione e che riconosce ad ogni individuo l’appartenenza alla stessa famiglia, la famiglia dei figli di Dio. La società del sub-continente indiano, a cui appartiene il Bangladesh, da millenni si porta dentro il sistema delle caste, che sottolinea in maniera lacerante la diversità dei gruppi e degli individui legata alla nascita con la stratificazione infinitesimale di chi ha più diritti e di chi ne ha meno o addirittura nessuno . E’ difficile dire se si tratta sostanzialmente di un fenomeno culturale, a cui si è aggiunto poi l’aspetto religioso o se la visione religiosa precede la ramificazione di questo tessuto che investe ogni aspetto della vita associata. Neppure gli studiosi di Induismo si trovano d’accordo nel definire chiaramente la natura del fenomeno, anche se recentemente si propende per una spiegazione culturale piuttosto che religiosa. Infatti questa mentalità è diffusa e presente anche in Bangladesh, in cui la stragrande maggioranza della popolazione da secoli ormai è musulmana. La struttura stessa del villaggio è uno specchio fedele di questa società stratificata, con gli steccati mentali della differenziazione di casta. Infatti ogni gruppo umano, in base al suo barna (casta), ha anche una diversa collocazione topografica. Per cui abbiamo la para (=raggruppamento di case) dei bramini, quella dei commercianti, dei contadini, dei pescatori…e infine le varie para dei fuori-casta con i vari nomi legati al tipo di lavoro che fanno. I Muci o Rishi, per esempio, che sono i fuori-casta di Chuknogor, erano scuoiatori di carogne. Lo stigma dell’intoccabilità è rimasta attaccata sulla loro pelle anche se non fanno più quel mestiere. La mia identificazione con loro è cominciata nei 12 anni trascorsi nella missione di Borodol. Mi ricordo che quando la gente dei villaggi, che attraversavo, mi vedeva passare, soprattutto i bambini, gridava Mucider Father asce (sta arrivando il padre dei Muci). Per me naturalmente è stato un titolo di vanto.
Se almeno i fuori-casta cercassero di fare unione fra di loro e di coalizzarsi, potrebbero fronteggiare tanti soprusi che vengono perpetrati nei loro confronti. Invece no, perché un Muci si sente superiore al Kaura (=guardiano porci) o al Methor (=colui che pulisce i cessi, che in bengalese vengono chiamati paykhana, parola che indica sia il luogo sia la sostanza).
Questa lunga premessa è stata necessaria per capire quello che sto per raccontare. Terminata la celebrazione eucaristica, mi si avvicina il guardiano della missione, che è un musulmano e mi dice: Father, schooler paykhana theke oshombob ghondo! (in Italiano: dal cesso della scuola viene fuori una puzza tremenda!). Capisco al volo, per esperienza ormai, che si tratta di un trasbordo del pozzo nero e mi predispongo al dafarsi. Il guardiano naturalmente si aspettava che gli dicessi di chiamare i Methor e non si aspettava certo che io diventassi il Methor di turno. Ho fatto la mia colazione da solo perché il P. Sergio è ancora in Italia per il suo turno di vacanze e poi mi sono attrezzato per l’operazione che ha colto tutti di sorpresa. Mi sono procurato un secchio ed una pala e via verso il pozzo nero. Mi sono mascherato per bene il naso, ho scoperchiato il pozzo ed ho proceduto all’operazione. Come d’incanto sono scomparsi tutti dalla circolazione, lasciandomi solo nel mio lavoro. Nessuno si è azzardato a darmi una mano, perché il rischio è grosso e nessuno vuol passare per Methor agli occhi degli altri. Così mi sono trasportato i miei 50 secchi, che tra l’altro rendono un ottimo servizio all’orto che ho appena zappato.
Forse vi aspettavate un altro tipo di racconto da chi ha vissuto più di 25 anni di missione in Bangladesh, ma anche questo penso serva per completare il quadro. Soprattutto è un elemento integrante di quella tradizione, di cui parlavo all’inizio e che è volta a cambiare la mentalità della gente, che crede che un certo tipo di lavoro contamina l’uomo, segregandolo dagli altri e rendendolo intoccabile o paria. Sono certo che questo mio gesto sarà tramandato alle generazioni future e diventerà anch’esso un punto di riferimento per chi vuol diventare discepolo di Gesù. Spero di raccontarvi qualcosa di diverso nel futuro, parlandovi magari dei frutti del mio orto, concimato così abbondantemente.
Ricordatemi al Signore. p. Antonio Germano sx.