MORTO RIINA, MA LE MAFIE RESTANO LA PRIMA IMPRESA NAZIONALE PER FATTURATO E GIRI D’AFFARI
Non si commetta l’errore di confondere la morte di Totò Riina con la sconfitta della mafia. Sicuramente lo Stato seppe reagire con determinazione alla stagione delle stragi del 1992-93, perseguì i capi di Cosa Nostra, pose fine alla latitanza di Provenzano, Riina, Bagarella, Brusca, Aglieri, Caruana, e grazie all’azione di Giancarlo Caselli che scelse di andare a dirigere la Procura di Palermo dopo l’assassinio di Falcone e Borsellino, portò a compimento le inchieste giudiziarie legate sia al maxi-processo che al periodo successivo. L’azione condotta contro la mafia siciliana ha lasciato il segno, indebolito e diviso l’organizzazione, e l’ultimo boss di spicco, Matteo Messina Denaro di Trapani, non è riconosciuto né a Palermo e tanto meno a Catania come ha ben evidenziato il Direttore del Centro Studi “Peppino Impastato” che segue l’evoluzione dei rapporti all’interno di Cosa Nostra. Ma a fronte di un avanzamento della legalità in Sicilia, rispetto al 1992 si registra l’avanzata della “Ndrangheta” che in Lombardia, Piemonte, Liguria e Veneto, ha messo radici profonde come confermano i casi di scioglimento di amministrazioni comunali, i giuramenti, le collusioni politico-affaristiche, la gestione degli appalti, l’acquisizione di imprese per riciclare i proventi delle attività illecite e la commistione nella sanità o nella fornitura di beni e servizi alla pubblica amministrazione. La camorra che nel 1992 limitava la propria azione con Raffaele Cutolo ed i Casalesi principalmente sulle province di Napoli e Caserta, ha sfondato in vaste aree del Lazio, in Emilia-Romagna, in alcune zone della Toscana e nei territori alle prese con la ricostruzione post-terremoto. La Puglia che agli inizi degli anni novanta scontava una presenza marginale nel Salento della Sacra Corona Unita ha assistito all’evoluzione della criminalità comune in criminalità organizzata su vaste aree delle province di Bari, Brindisi e Taranto. Su Foggia si è costituita un’organizzazione mafiosa locale pericolosissima come conferma il Rapporto della Direzione Nazionale Antimafia che dal 1997 al 2017 ha assassinato 300 persone anche in pieno giorno e senza alcun timore. I recenti sequestri di quintali di droghe sintetiche, cocaina ed eroina, nel porto di Gioia Tauro trafficati da cartelli internazionali che spaziano dai narcos messicani ai talebani dello Stato islamico coinvolgendo colombiani, turchi, afghani, libici, russi, somali e cinesi, evidenziano la forza della Ndrangheta e delle Mafie italiane che arrivano a fatturare 150 miliardi di euro l’anno secondo stime approssimate per difetto. Totò Riina, mai pentito, dall’interno del carcere di massima sicurezza continuava a impartire ordine attaccando in una dichiarazione rimasta impressa nella memoria collettiva : “ < è tutta colpa di Violante , dei giudici e dei comunisti che si sono inventati un complotto contro di me >”, è stato uno dei più feroci e sanguinari capi della mafia italiana, ma la sua morte non va confusa con la sconfitta definitiva della piovra. Bisogna intensificare l’azione istituzionale, sociale, economica, giudiziaria, culturale, di prevenzione e controllo del territorio, ed educativa se si intende girare pagina con 70 anni di intrecci politico-mafiosi inaugurati il Primo Maggio del 1947 dalla strage di Portella della Ginestra compiuta dalla mafia contro i braccianti della CGIL per far capire a tutti che il 20 aprile del 1947 i siciliani avevano sbagliato a votare a sinistra.
Campobasso, 17 novembre 2017
Michele Petraroia